Quando va in pensione una Partita Iva e come calcolare l’assegno mensile che percepirà

La nota dolente di molti lavoratori oggi è la prospettiva di pensione futura. Facciamo il punto sui titolari di Partita Iva.  

Il posto fisso a vita, si sa, ormai è un ricordo del passato. Oggi il lavoro è flessibile, dinamico, discontinuo… insomma (spesso) precario. E sono in molti, giovani e meno giovani, per svariati motivi, a decidere di mettersi in proprio per aprire una partita Iva. Una scelta che può essere conveniente sotto più punti di vista, ma che può anche presentare rischi e svantaggi. Soprattutto in vista di una futura pensione.

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La normativa sulle pensioni è oltremodo complessa e in continua evoluzione. (Genovawhatson.it)

Diciamo subito che la normativa sulle pensioni è oltremodo complessa e in continua evoluzione. Il cantiere è aperto e ogni anno spinta qualche novità più o meno importante, in funzione delle esigenze di bilancio dello Stato e non solo. Ciò non toglie però che sia utile farsi un’idea di quella che potrebbe essere, stando alle leggi attuali, la propria pensione in un futuro più o meno lontano. Ecco come procedere a una simulazione.

La pensione del lavoratore con Partita Iva dalla A alla Z

Partiamo dal titolare di Partita Iva che aderisce al regime forfettario. In questo caso, occorre far riferimento alle regole della Legge Fornero: pensione anticipata dopo 42 anni e 10 mesi di contributi versati per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne. Con una soglia anagrafica di 67 anni per chi non raggiunge i 20 anni di contributi. Ma c’è anche tutta una serie di opzioni aggiuntive: da Quota 103 a Opzione Donna, alle agevolazioni previste per determinate categorie.

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Una variabile decisiva ai fini delle pensioni per il lavoratore con Partita Iva è l’età contributiva aggiornata al 31 dicembre 1995. (Genovawhatson.it)

Più nello specifico, una variabile decisiva ai fini delle pensioni per il lavoratore con Partita Iva è l’età contributiva aggiornata al 31 dicembre 1995. Con più di 18 anni di contributi, bisogna far riferimento alla retribuzione fino al 2011 e ai contributi a partire dal 2012. Con meno di 18 anni di contributi, invece, la situazione si complica.

Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 deve considerare solo i contributi effettivamente versati (il cosiddetto “montante contributivo”), verificando il tasso di capitalizzazione su base annua stabilito dall’Istat e il coefficiente di trasformazione per la pensione lorda annuale, dividendo il valore che ne risulta per 13 mesi. In linea di massima, e con tutti i condizionali del caso, ci si può aspettare di percepire circa il 35-45% rispetto all’ultima retribuzione. Di qui l’importanza di sottoscrivere un piano di previdenza complementare che consenta di integrare la pensione futura e assicurarsi una vecchiaia il più possibile serena.

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