Oggi siamo in compagnia della Vice Presidente Francesca Ghiozzi, la quale ci introdurrà alla nobilissima iniziativa di questa Associazione, Mi Nutro Di Vita. Avresti piacere a raccontarci le origini di questo ambizioso progetto?
L’Associazione è nata per volere di un papà, Stefano Tavilla, il quale nel momento in cui si è trovato a vivere in prima persona la scomparsa della figlia, ha deciso di non rinchiudersi nel proprio dolore, ma di mettersi a disposizione degli altri. Portando quindi luce e chiarezza su delle malattie che da sempre vengono relegate all’oscurità e all’oblio: generalmente questi disturbi sono interpretati solo nella loro più stretta correlazione col cibo, ma questa è solamente la punta dell’iceberg.
Uno dei nostri principali obiettivi è offrire sostegno alle famiglie, di fatto disponiamo di uno Sportello di Ascolto interamente dedicato in particolare, perché spesso nella catena di cura i genitori non vengono presi in considerazione dal punto di vista terapeutico. Questo avviene sopratutto nel contesto pubblico, in cui si pensa principalmente al paziente e a fornire una cura diretta, senza un’interazione con il contorno e tutti gli altri elementi da cui è costituito e vissuto. La famiglia non può essere lasciata a margine, specie nel percorso di cura e nuova consapevolezza, sia del paziente in sé che delle persone più care.
Come avete affrontato il periodo di lockdown?
Noi generalmente organizziamo dei Gruppi d’Incontro, che definiamo Laboratori, in sede a Pieve Ligure: con il periodo di quarantena ovviamente ci siamo ritrovati a doverli interrompere, sostituendoli però con degli appuntamenti virtuali tramite piattaforma. Il riscontro è stato decisamente incoraggiante e ora prosegue in sede, dove organizziamo due incontri ogni mese e vedono la partecipazione di genitori da più parti della nostra Penisola, dandoci quindi l’opportunità di estendere il nostro servizio a livello nazionale. Di fatto anche la stessa richiesta denota un’autentica necessità di consapevolezza, sopratutto dai nuclei familiari, riguardo le dinamiche di questo genere di malattie e su come affrontarle.
Sebbene in buona fede, si rischia di adottare comportamenti che invece che intaccare la malattia, la rafforzano, rendendo di fatto anche più profonde le distanze tra le persone. Ci si dimentica di comunicare con i propri figli, finendo col parlare direttamente al disturbo che li consuma: troppo spesso chi soffre di tali patologie viene associato ad esse, finendo con il perdere il proprio io, la propria identità. Venendo etichettati con termini quali “L’Anoressica” o “La Bulimica”; dimenticandosi che dietro vi è una vita, una persona reale.
Ci sono state altre iniziative promettenti?
Sempre nel periodo di Lockdown abbiamo organizzato un Laboratorio interamente dedicato a coloro che soffrono di disturbi alimentari, il tutto nato da una richiesta diretta di ragazze che già conoscevano ed interagivano con la nostra Associazione tramite i social e che si sono ritrovate di fronte ad una crisi proprio perché costrette in casa. Un’iniziativa che è durata per tutto il periodo della quarantena e che poi è stato sospeso a causa di poca continuità, dovuta comunque alla ripresa di ciascuno di noi della propria vita, con tutti gli impegni che ne derivano.
Sempre nel corso di questo periodo sono anche stati prodotti due video: il primo da parte di genitori che frequentavano il Laboratorio ed un altro dei ragazzi riguardo ciò che rappresenta per loro la malattia. Due video decisamente importanti in quanto hanno distolto l’attenzione dai disturbi, specie per i ragazzi che hanno trovato uno scopo in questo lavoro, alleggerendo queste giornate in casa.
I nostri stessi video sono stati una sorta di risposta, in generale tra i contenuti che abbiamo trovato più inappropriati ve n’è stato uno che poneva l’una di fronte all’altra una ragazza evidentemente in sovrappeso ed una sottopeso, presentati quindi come poli di una malattia. Questo può essere uno spunto di riflessione che va condiviso, ossia la necessità anche di spazzare via queste credenze, che si dimenticano di un’ampissima fascia di persone che soffrono a tutti gli effetti di questi disturbi, ma che sono normopeso. Il peso non è indice di malattia: la stessa Giulia Tavilla (figlia del Presidente dell’Associazione) era normopeso, eppure è venuta a mancare a causa di un arresto cardiaco, dovuto alle circostanze di meccanismi di compensazione che l’avevano condotta ad un’insufficienza di potassio, una condizione estremamente pericolosa.
Abbiamo voluto dare voce e considerazione a queste persone che soffrono di questo disturbo mentale che non viene percepito e di conseguenza sottovalutato o ignorato.
Attualmente vista la situazione temo che non riusciremo ad organizzarci in conformità delle nuove disposizioni di sicurezza. Guardando al passato, sebbene abbastanza recente, abbiamo realizzato un progetto assieme a FoodNet (un’associazione che si occupa di disturbi alimentari a Milano): una partecipazione che si è concretizzata grazie al ricavato gentilmente donatoci dal Comune di Camogli a seguito di una sagra locale. Un progetto, che poi abbiamo organizzato sempre nella realtà geografica di Camogli proprio per rendere omaggio a questo loro supporto, che era indirizzato alle scuole elementari: prevedeva un ciclo di 3/4 incontri e il tema principale era il Cibo e la sua stretta connessione con le emozioni. Un lavoro decisamente entusiasmante che vedeva questi bambini profondamente coinvolti nei lavori di Laboratorio e nei momenti di riflessione condivisa riguardo appunto l’associazione dei vari cibi con le emozioni. Questo progetto è avvenuto nelle realtà di Camogli, Recco, Uscio, Bogliasco e Avegno, con una grande richiesta di un seguito anche dai bambini stessi che si erano molto affezionati
La nostra idea vorrebbe estendersi anche in altre parti, del Tigullio e del territorio di Genova, dove comunque abbiamo già svolto degli interventi nelle scuole, per esempio il Liceo Pertini, tuttavia in questo caso per diretta richiesta. Spesso le scuole hanno una parte di programma che viene dedicata all’approfondimento di tematiche sociali, come appunto il Bullismo, i Disturbi Alimentari e le Dipendenze. Sono segnalazioni fatte con criterio e purtroppo ci troviamo a svolgere questi interventi in classi che presentano casi, mi ricordo di una ragazza che addirittura aveva perso i sensi in aula e delle difficoltà, anche riscontrate dagli stessi insegnanti, nel contattare la famiglia e fargli accettare le condizioni della ragazza.
Torniamo al problema che ti avevo evidenziato al principio, ossia il senso di isolamento e di paura che provano questi nuclei familiari, che non sanno come gestire al meglio la situazione né come affrontarla. C’è un senso di vergogna, pari quasi alle Dipendenze, queste malattie vengono vissute nel silenzio e nel privato, lontano da possibili indiscrezioni. La mancanza di una richiesta di aiuto non significa che non ce ne sia bisogno, dobbiamo imparare ad interpretare anche questi silenzi e a muoverci di conseguenza.
Quello che di fatto è lo scopo dei vostri Laboratori, fornire conoscenza, formazione e strumenti affinché tutti possano cercare e trovare sostegno.
Sono malattie che tendono ad isolare: i primi campanelli di allarme si concretizzano con il rifiuto di uscire con gli amici, sia per una semplice pizza che per una passeggiata. Si costruisce una gabbia dentro la quale poi si ritrova rinchiusa anche la famiglia, a sua volta isolata e a stretto contatto con la malattia. Una situazione che rischia di far perdere il linguaggio e la mentalità necessarie per contrastarla.
Ci vuole consapevolezza: sicuramente il nostro più grande risultato è stato il riconoscimento del Disturbo Alimentare e nello specifico della giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, il 15 marzo. Data che corrisponde appunto al giorno in cui è mancata Giulia. La scelta del Fiocco Lilla deriva da delle ricerche da parte di Stefano Tavilla riguardo delle realtà a livello nazionale, che all’epoca tuttavia non esistevano ancora: vi erano organizzazioni mondiali con un simbolo che tradotto in italiano sarebbe risultato “Fiocco Glicine”, un’immagine che qui non avrebbe funzionato e da ciò la scelta del Lilla.
In seguito abbiamo aderito ad un evento globale, la Giornata dei Disturbi Alimentari, che però viene celebrata il 2 giugno e qui in Italia corrisponde alla Festa della Repubblica, ragione per cui focalizziamo le nostre energie nella data di marzo, che prevede comunque il coinvolgimento di tutte le associazioni su scala nazionale. Quest’anno sfortunatamente è combaciata con l’inizio del lockdown e pertanto abbiamo ripiegato su un evento social della durata di 4 ore con gli interventi ed interviste previsti: un evento decisivo sopratutto per la focalizzazione a livello mediatico riguardo queste tematiche ma leggermente privo emotività, che solo la presenza fisica, che certi sguardi, sono in grado di creare. Oltre a tutto l’aspetto di condivisione e di domande da parte dei partecipanti.
Nonostante l’imprevedibilità del periodo, ci sono progetti futuri che avresti piacere di condividere?
Siamo comunque nel pieno dell’attività, il 19 Ottobre avrà inizio un nuovo progetto sempre in collaborazione con FoodNet: I Mille Volti dei DCA. Un’iniziativa che avrà come tappa iniziale proprio Genova e che poi si estenderà a tutto il resto del Paese e che si concretizza con la ulteriore partecipazione e collaborazione della fotografa Ilaria Elena Borin. L’obiettivo è appunto quello di dare un volto a queste malattie, con il diretto coinvolgimento di ragazzi e ragazze che ne hanno sofferto e che si presteranno come soggetti delle foto, scegliendo quanto e cosa mostrare di sé.
Progetti a lungo termine sono in evoluzione, un altro fatto decisamente positivo è che veniamo contattati da realtà e persone che ci propongono delle iniziative, per esempio recentemente siamo stati contattati da una ragazza che sta svolgendo una Ricerca Universitaria sui Disturbi Alimentari e aveva necessità di alcune testimonianze di persone che ne sono usciti o che comunque si trovano in una fase avanzata di guarigione, proprio con l’intento di snocciolare le dinamiche stesse della malattia e proporre un’ottica favorevole sulle condizioni che possono influire su un percorso di cura efficace.
In primo luogo la questione dei Social, di come possano essere uno strumento utile ma anche un’arma a doppio taglio e piena di insidie, e con questo mi riferisco a realtà come i gruppi o profili Pro Ana e Pro Mia: realtà subdole create da persone che soffrono di questi disturbi e che incoraggiano tutta una serie di meccanismi di queste malattie. Noi li abbiamo sfruttati in un’ottica positiva e li abbiamo resi strumenti validi anche d’incontro e condivisione, cercando di trasmettere il nostro messaggio anche nel nostro piccolo.
In conclusione voglio sottolineare due aspetti: in primis di non vergognarsi, di cercare di sostenere una prospettiva volta verso un orizzonte, verso una porta da aprire e l’importanza della comunicazione. Dai nostri Laboratori emerge sempre questo desiderio di comunicazione, di parole non dette o mancate, non esistono cose giuste da dire, bisogna esserci.
Il secondo messaggio è rivolto ai genitori, per quanto possano esistere realtà come quella di cui faccio parte, che di fatto mette a completa disposizione strumenti, luoghi, occasioni e spazi in cui cercare e trovare supporto e sostegno, rimane comunque necessario un percorso terapeutico. Il genitore deve ricordarsi del proprio ruolo, del suo sguardo e dell’affetto che può dare ai propri figli, ma non deve scambiare la propria figura con quella di un terapeuta, nutrizionista o professionista, altrettanto necessaria e determinante.
Bisogna avere forza e fermezza, sopratutto per saper assistere alle lacrime e alle sofferenze dei nostri figli, seppur per il loro bene.
Con questo invito concludiamo questa intervista, invitandovi a nostra volta ad apprendere, ad imparare, ad avvicinarvi a realtà come Mi Nutro Di Vita e a rimanere al fianco dei vostri cari.
Sito Mi Nutro di Vita e Pagina Fb
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